Schlagenheim: analisi dei Black Midi

Chi non è aggiornato sulle proposte musicali degli ultimi anni, soprattutto nell’ambito del panorama inglese post Brexit, sicuramente non avrà sentito neanche nominare i Black Midi. Essi sono stati una band sperimentale, che per circa un decennio si è distinta per il personale stile inconfondibile. Con soli tre dischi pubblicati, hanno mostrato quanto dei ragazzi qualunque londinesi, grazie a sperimentazioni ed improvvisazioni, possano riuscire ad emergere distaccandosi da qualsiasi altro artista della propria epoca. Fino ad oggi su questa rubrica, sono state origine di analisi tante figure, dai Pink Floyd a Kurt Cobain, che per il mondo della musica risultano fondamentali, e quindi ci si può chiedere per quale motivazione si stia realizzando un approfondimento su un gruppo “minore”. Nonostante non siano influenti quanto altri artisti con cui trovano delle affinità, come i Fontaines D.C. o gli Idles, i Black Midi riescono a distaccarsi da qualsiasi proposta commerciale degli ultimi 15 anni. Per presentarli al meglio, ci soffermeremo prima sull’origine del gruppo e sul panorama musicale in cui è nato, e poi, analizzeremo l’album di debutto, Schlagenheim, descrivendone ogni particolarità.

I Black Midi sono una band Inglese, nata a Brixton nel 2017. Essi sono parte della scena Windmill, un insieme di artisti – tra cui si trovano i Black Country,New Road, i Maruja e tanti altri – che esibendosi nell’omonimo pub londinese, sono stati immediatamente notati per il proprio stile praticamente incomparabile. Essi possiedono un sound incalzante, aggressivo, che contiene un’armonia di suoni che difficilmente si può sentire nella stessa canzone, o addirittura, nello stesso disco. È davvero difficile poterli catalogare in una sola tipologia di genere musicale; hanno tanto del math rock, che trae ispirazione dai King Crimson, possiedono anche accenni di alternative rock, ma sono soprattutto, una band post-punk. Da decenni quest’ultimo genere si è distinto per le proprie caratteristiche uniche, che in ogni singolo artista conducono a degli elementi fuori dal comune. I gruppi post-punk spesso si trovano a sperimentare, anche se alcuni si fanno trascinare dal fascino del commerciale, creando opere poco innovative. I Black Midi non sono “conservatori”, perciò, in ogni prodotto sperimentano. Osano aggiungendo decine di strumenti diversi nelle stesse canzoni, rendendo i propri brani così tanto ricchi di contaminazioni che è impossibile percepire tutti i piccoli particolari annessi. Ci sono tante sfumature di jazz, di musica elettronica e di reggae, come anche tanti pezzi ispirati allo stile dei Talking Heads, del jazz fusion e del noise rock. A differenza di tanti altri tuttavia, ciò che rende i Black Midi inconfondibili, oltre a questo insieme di rumorose armonie, non è solo il sound, ma la fortissima teatralità. Alcuni brani, piuttosto che essere cantati, sono quasi “recitati”; è come se si stesse parlando con il pubblico. Il cantante Geordie Greep invece di intonare un testo pronuncia delle vere e proprie storie, come nella canzone di apertura dell’album Cavalcade “John L”.

Grazie ai primi pezzi presentati al pub Windmill, il complesso inizia a farsi notare, e dopo aver firmato un primo contratto, fa il grande passo trasformandosi da band di periferia a gruppo ufficiale con pubblicazioni discografiche. Facendosi notare sempre più e pubblicando i primi singoli, nel giugno del 2019 i Black Midi incidono il loro primo disco, “Schlagenheim”.

Ovviamente un titolo insolito per un album, difatti a prima vista sarebbe difficile immaginarsi quale sia il vero e proprio significato di esso. Schlagenheim non è altro che una parola inventata, una non-parola come detto dalla band – in tedesco, frutto dell’unione di “schlagen”, ossia colpire, e “heim”, ovvero casa. Traducendo quest’unione di termini in inglese viene fuori “hitting home”, che significa “colpire nel segno”. Dopotutto è proprio ciò che la band cerca di creare, vuole fare centro, muovere dal lato emotivo e personale, inquietando e disturbando. Questo nome tanto particolare si collega ovviamente anche allo stile dell’album stesso, che risulta surreale e caotico fin dal primo ascolto.

La copertina del disco, come il titolo, non è altro che una complessissima rappresentazione del caos presentato. Tantissimi rottami incastrati l’uno sull’altro che sembrano creare la forma di un cavallo in agonia, con parti metalliche e decomposte. Quest’immagine non si presenta solamente come affascinante, essa è anche una metafora dell’industrializzazione, della società moderna e della surreale confusione messa in scena.

Gli scarti che formano quest’inusuale figura sono visibilmente distorti, non fatiscenti, sembrano quasi richiamare quelle caotiche urla che il cantante impiega nei brani. La copertina sembra mettere in guardia l’ascoltatore, perché come è difficile da osservare, anche il disco stesso sarà una riproduzione sofferta.

Il primo ascolto dell’album per intero risulta arduo da dimenticare per qualsiasi categoria di pubblico, infatti grazie ai suoni così stordenti, è difficile rimanere del tutto indifferenti. A primo impatto, dati i testi molto semplici – anche se surreali – e le melodie così assordanti, si può pensare che dietro il prodotto finito ci sia una banalissima sperimentazione, ma non è così.

Nonostante la registrazione del disco sia durata solamente 6 giorni, e nonostante i Black Midi amino improvvisare, soprattutto in diretta, dietro l’intera elaborazione dei brani vi è uno studio immenso. Hanno studiato tutto nei minimi dettagli, ogni singolo particolare è stato curato per ottenere un risultato eccezionale.

Dati i molteplici strumenti usati in ogni brano, alcune canzoni sono, come detto dal batterista Morgan Simpson, praticamente impossibili da replicare in live. Dall’utilizzo di sintetizzatori ai suoni delle fisarmoniche, dal sound distorto alle urla assordanti del cantante, tutto crea un piacevole rumore impossibile da imitare. Tra le canzoni dell’album, quelle degne di nota sono molteplici. ln primo luogo quella di apertura, “953”, che con dei riff di chitarra stratosferici pone davanti all’ascoltatore le basi della musica della band. Un altro incredibile pezzo è “Ducter”, che con un tono quasi malinconico, chiude il disco. Comincia con dei suoni più controllati, per poi esplodere e cambiare ritmo durante il proseguire della canzone. Il testo si mostra semplicissimo, poche frasi, nulla di rivoluzionario all’apparenza, ma come molte dei pezzi più famosi della band, bastano uno o due termini ripetuti per un intero brano a rivoluzionare un intero prodotto. Ad arricchire il tutto, Geordie Greep urla come nessun cantante riuscirebbe a fare. Le sue grida non sembrano quelle sofferte di Kurt Cobain, e neanche quelle oscure del metal, si sente soltanto caos. L’ultima canzone su cui bisogna sostenere una ricca analisi è la più famosa del gruppo, il primo singolo mai pubblicato e, soprattutto, quella che mostra a pieno ciò che i Black Midi vogliono dimostrare.

“Bmbmbm”, che potrebbe sembrare il solo ripetere delle iniziali del nome della band tre volte, è invece simbolo di quel “colpire nel segno” che appare nel titolo. Bmbmbm mira dritto e percuote, più di qualsiasi altro brano dell’intera discografia del complesso. Una sola nota, ripetuta per sei minuti, con sperimentazioni, improvvisazioni, distorsioni, tantissime urla e soprattutto, tecnica. I Black Midi riescono nell’impossibile, rendere più che strutturata una canzone con una singola banale nota, che diviene puro disordine armonioso. Nell’interno i testi di Schlagenheim presentano storie molto semplici, a differenza dei futuri prodotti della band con narrazioni più complesse. Vengono descritti luoghi surreali, ambientazioni uniche e tante tematiche contemporanee, dall’alienazione moderna alla politica, dall’ossessione all’adolescenza.

Dopo il meraviglioso debutto Schlagenheim, acclamato dalla critica, la band ha pubblicato altri due dischi, “Cavalcade” e “Hellfire”, entrambi ottimi lavori. Senza dubbio quello che spicca di più nella coppia è il secondo, tuttavia, il grande pilastro della discografia del gruppo è proprio l’album che abbiamo appena trattato.

Dopo circa 8 anni insieme, nel 2024, i componenti dei Black Midi, Geordie Greep, Morgan Simpson e Cameron Picton, hanno deciso di separarsi. Purtroppo nonostante il successo commerciale ed il plauso della critica, i membri del gruppo non riuscivano più a collaborare per creare futuri prodotti per la band, e proprio questo, come annunciato sui social, i Black Midi si sono ufficialmente sciolti. ln futuro potrebbero tornare insieme ovviamente, pensarci sarebbe rincuorante, ma purtroppo adesso non si può far altro che ascoltare i vecchi dischi sperando che ricomincino a suonare insieme. Con il tempo tanti artisti Inglesi si distinguono per i propri successi, dai più apprezzati alle nuove scoperte del Windmill, ma nessuno potrà mai risultare come i Black Midi. È molto difficile per un cantante o un gruppo replicare ciò che in così pochi anni sono riusciti a dimostrare. Tante innovazioni, tante urla, ma allo stesso modo una tecnica musicale ineguagliabile e tanti simboli, solo per colpire nel segno mostrando agli ascoltatori un affascinante disordine controllato.

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